mercoledì 31 agosto 2016

Parliamo di FEMMINICIDIO

Risale a pochi giorni fa l'ennesimo episodio di violenza che si è concluso con la morte di una donna. In Brianza, Carmela Aparo, 64 anni, è stata uccisa a colpi di pistola al culmine di una lite con l'ex convivente, che è stato fermato dai carabinieri poche ore dopo l'omicidio.
Non nascondo che quello della violenza sulle donne è un tema a cui sono particolarmente sensibile. A Novara, città in cui vivo, collaboro come volontario col Centro Antiviolenza sulle donne gestito dal Centro Servizi Pari Opportunità della Provincia. Di fondamentale importanza, in rapporto a questo terribile fenomeno, è sostenere un costante lavoro di informazione e di sensibilizzazione.
Prendiamo spunto, quindi, dall'ultimo caso ricordato per esaminare sinteticamente quali dinamiche possono essere alla base di simili episodi.

Il primo dato che bisogna tenere a mente è che, secondo le statistiche, le donne subiscono violenza principalmente da parte di uomini che conoscono. Occorre, quindi, avere ben chiaro che il caso dello sconosciuto che usa violenza sulla donna rappresenta l'eccezione, sicuramente non la regola. Le mura domestiche, in particolare, rappresentano la dimensione in cui è più facile che certi episodi si verifichino e che, soprattutto, non vengano scoperti. Frequente è quindi la violenza esercitata dal convivente.

Secondo dato: non bisogna pensare che la violenza esploda all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno. I criminologi sono ormai da tempo concordi nel ritenere che la violenza in ambiente domestico, all'interno della famiglia, abbia luogo (fino a raggiungere le estreme conseguenze) solo dopo aver trovato un "terreno fertile" costituito da ansia, frustrazione, tensioni di vario tipo. Molto improbabile che un uomo che abbia ucciso la compagna non sia mai stato violento in precedenza con la stessa. Diversi possono essere i motivi per cui la donna non reagisce ai maltrattamenti precedentemente subiti: poca fiducia nelle forze dell'ordine; convinzione che le violenze si ridurranno nel corso del tempo; impossibilità, data la mancanza di autonomi mezzi di sostentamento, di allontanarsi dal violento...
I delitti intrafamiliari non sono delitti emotivi, cioè improvvisamente provocati da emozioni negative del momento, bensì passionali, essendo dunque il risultato di una graduale maturazione.
L'uxoricidio, cioè l'uccisone del compagno/a, costituisce il caso più diffuso di omicidio in famiglia, e nel 90% dei casi la donna è la vittima.
Gli uomini che uccidono la propria compagna hanno molto spesso un passato difficile: per esempio, possono aver subito violenze e/o abusi durante l'infanzia da parte dei loro genitori. Sono soggetti profondamente insicuri e tendono a scaricare le loro frustrazioni sulle persone che hanno più vicine (compagne e, se presenti, figli), di cui non temono reazioni e giudizi.

Terzo dato che bisogna ricordare è che il momento criminogeneticamente più critico è quello della rottura del rapporto: avrete probabilmente ben presente che nella maggior parte dei casi di cui si sente parlare il compagno arriva a uccidere proprio nel momento in cui la donna trova il coraggio, dopo anni di violenze e soprusi, di troncare la relazione. Questa situazione risulta infatti intollerabile per uomini che, innanzitutto, vedono la propria compagna come una loro proprietà, una semplice estensione di loro stessi. La gelosia è sicuramente il primo motivo che porta all'omicidio. Gelosia talmente intensa che spesso arriva a configurare un vero e proprio disturbo (esiste, per esempio, la "sindrome di Mairet", che consiste in una gelosia ossessiva da cui l'uomo non cessa di essere tormentato).
Non è comunque raro che l'omicida sia affetto da altri disturbi mentali, come depressione o disturbo di personalità.

Prevenire i femminicidi è sicuramente possibile, ma questo richiede per prima cosa la capacità delle donne di avvertire il pericolo cui possono andare incontro, qualora gli episodi di violenza cui fossero soggette risultassero sempre più frequenti. In alcuni casi, purtroppo, questa capacità manca proprio perché la vittima di violenza, interessata talvolta da quella che gli studiosi hanno definito "sindrome della donna picchiata", non è in grado di distaccarsi dal compagno, da cui risulta assolutamente dipendente sul piano psicologico.

Letture consigliate:
De Pasquali P., L'orrore in casa. Psico-criminologia del parenticidio, FrancoAngeli, Milano, 2007